A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Nello scorso articolo abbiamo esaminato le cascine che sorgevano (e in qualche caso ancora sorgono) nella zona di piazzale Chiaradia. Ci muoviamo ora lungo le vie Fontanili e Verro alla ricerca di quelle “sopravvissute” all’inurbazione.
Ancora oggi, al civico 15 della via dei Fontanili, si trova la cascina Giretta (come riporta una targa all’entrata), antico nobile casino di svago, già citata sulla Carta del Claricio del 1600 e costituita da un edificio a pianta quadrata di fattura cinquecentesca, ora completamente ristrutturato e adattato a nuove funzioni mantenendo però le volumetrie originarie.
Poco discosto si trovavano nel Seicento altri borghi, di cui si è persa la memoria, come ad esempio “Il Viola”, posto tra Graffignana e Castellazzo; nel XIX secolo poi altre cascine, ora scomparse, vennero edificate nella stessa area, e due di esse avevano nomi curiosi: in via dei Fontanili 36 si trovava infatti la cascina Ventidue, mentre in via Verro 40 si trovava la cascina Dodici, che veniva ancora riportata su una cartina del 1937.
Dirigendosi a questo punto verso l’incrocio tra la via Antonini e la via Virginio Ferrari si giunge al tratto scoperto del Cavo Ticinello, che corre per parecchie centinaia di metri parallelo alla succitata “bretella“.
Proprio in corrispondenza dello slargo e della adiacente zona commerciale, l’ho accennato tempo fa, si trovano due interessanti manufatti: una piccola casetta fluviale, coperta da salici piangenti, si affaccia infatti sulla riva, di fianco agli orti, mentre poco più a sud un piccolo ponticello attraversa il cavo: su di esso passava la ferrovia a scartamento ridotto (decauville) che trasportava l’argilla dalle cave del sud Milano alla Fornace Butti di Morivione; all’epoca infatti la zona era ricca di argilla, che veniva estratta e portata su questi carrelli, simili a quelli dei minatori, fino alle fornaci. Proseguendo oltre l’incrocio testè menzionato, sulla sinistra si trova quanto rimane dell’antica cascina Trebbia, che un tempo era collegata al ponticello da un ameno viottolo.
Questa cascina negli anni ’80 era ancora funzionante e la mandavano avanti due contadini anziani, che avevano molti animali da cortile che rallegravano l’ambiente; purtroppo, già all’epoca essi stessi ci avevano detto che alla loro dipartita tutto sarebbe stato demolito allo scopo di farvi sorgere nuove costruzioni. Di fatto, quando fu finito l’Hotel adiacente, parte della cascina rimase e, nonostante i crolli dovuti all’incuria e all’incendio che vi divampò nel 1992, essa è ancora lì, a testimoniare un lembo di campagna in città, appena a nord delle distese agricole che si trovano nei dintorni delle cascine di via Campazzino, di cui ho parlato a suo tempo.
La cascina, che compare sulla Carta del Claricio del 1600, ed ha quindi origini molto antiche, ha un nome che fa evidente riferimento alla coltivazione dei cereali; essa constava di due edifici che chiudevano la classica corte quadrata lombarda, ed era orientata anch’essa in diagonale, come molte altre nella zona .
L’edificio rimasto in piedi, e adibito ad uso abitativo, era posto sull’angolo a nord-est ed aveva forma ad elle, con il lato corto che chiudeva la corte ad est; l’edificio andato perso invece, adibito ad uso rustico, chiudeva la corte stessa sull’angolo sud-ovest con una forma ad elle il cui lato corto era ad ovest.